IL TRIBUNALE

    Ha  pronunciato  la  seguente  ordinanza  nel  corso dell'udienza
  preliminare   del   12   gennaio   2000  relativa  al  procedimento
  n. 197/1997 RGNR a carico di Berardi Giuliano, nato a Pieve di Teco
  (Imperia) il 5 aprile 1963, residente a Imperia, via Molini Sottani
  n. 10, imputato per i reati:
        a) di cui all'art. 73, comma 1, d.P.R. n. 309/1990;
        b) di cui agli articoli 81 cpv., 453 comma 3 c.p.,
nel  corso della quale il giudice, d'ufficio, ha rilevato - a seguito
  di  richiesta  di  giudizio  abbreviato  da  parte  dell'imputato -
  profili   di  illegittimita'  costituzionale  dell'art. 220  d.lgs.
  n. 51/1998  per evidente violazione dell'art. 3 della Costituzione,
  stante  l'ingiustificata disparita' di trattamento instauratasi con
  l'entrata  in  vigore  della norma citata, il 2 gennaio 2000, tra i
  procedimenti   di   competenza   del   tribunale   in  composizione
  monocratica  (per  i  quali  continuano  ad  applicarsi  le vecchie
  disposizioni  nel caso di udienza preliminare in corso o, comunque,
  gia'  fissata  al  2 gennaio 2000) e procedimenti di competenza del
  tribunale  in  composizione  collegiale  (per i quali si applicano,
  invece,  le nuove disposizioni di cui alla legge n. 479/1999); tale
  disparita'   emerge,   in   maniera  del  tutto  evidente,  laddove
  l'imputato  voglia  accedere  al  giudizio  abbreviato, poiche' nel
  primo   caso   (reati   di   competenza  del  giudice  monocratico)
  l'ammissione  al rito e' (ancora) subordinata al consenso del p.m.,
  mentre  la  nuova  formulazione  dell'art. 438  c.p.p. non solo non
  richiede  il  preventivo  consenso  del p.m., ma obbliga il giudice
  all'inevitabile ammissione.
    Pare  a  questo  giudice che la macroscopicita' di tale iniquita'
  sia  da  ricercare  in  una  mera  dimenticanza del legislatore; in
  effetti,  la  disposizione  di  cui all'art. 220 cit. aveva una sua
  ragion  d'essere  nell'originario  impianto  del d.lgs. n. 51/1998,
  poiche'  era  prevista  la fase dell'udienza preliminare per i soli
  reati  di  competenza  del tribunale in composizione collegiale: di
  talche', ben comprensibile era una norma transitoria di tale tenore
  per udienza preliminare destinate a scomparire.
    Ma  nel  nuovo  sistema  approntato dalla legge n. 479/1999, tale
  disposizione  transitoria  non  riveste  alcun  significato  se non
  quello  di  instaurare  un incomprensibile e ingiustificato "doppio
  binario" per talune udienze in corso o fissate, e tutte le altre.
    Tale  questione, tuttavia, non pare rilevante nel caso di specie,
  poiche'   al  Berardi  e'  altresi'  contestato  il  reato  di  cui
  all'art. 453  n. 3  c.p.,  reato  di  competenza collegiale, il che
  parrebbe   (il   condizionale   e'   ormai  d'obbligo,  poiche'  il
  legislatore,   come  detto,  si  e'  assolutamente  dimenticato  di
  regolare  compiutamente  i  processi  in  corso  al 2 gennaio 2000)
  ricondurre  la competenza al collegio, ai sensi dell'art. 33-quater
  c.p.p.
    Pertanto,  alla  richiesta  di  giudizio  abbreviato dovrebbe, di
  necessita', conseguire l'ordinanza ammissiva del rito alternativo.
    Se,  allora,  deve applicarsi la nuova disciplina, deve rilevarsi
  come   il   p.m.   abbia   sollevato   eccezione   di  legittimita'
  costituzionale  dell'art. 438  c.p.p.,  come modificato dalla legge
  n. 479/1999,   sia   sotto   il   profilo   della   violazione  del
  contraddittorio     costituzionalizzato     nell'art. 111     della
  Costituzione novellato a seguito della legge cost. n. 2/1999 ("Ogni
  processo  si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizione
  di  parita',  davanti  a giudice terzo e imparziale"), sia sotto il
  profilo della violazione del principio della soggezione del giudice
  alla sola legge (art. 101 della Costituzione).
    Piu'  precisamente, la violazione del contraddittorio emergerebbe
  dall'eliminazione della necessita' del consenso del p.m., mentre il
  secondo profilo di illegittimita' consisterebbe nell'impossibilita'
  per  il  giudice di esprimersi in ordine alla stessa ammissibilita'
  del giudizio abbreviato.
    Scorrendo  la nuova disciplina dell'udienza preliminare, parrebbe
  che  l'intenzione  del  legislatore  sia  stata quella di conferire
  centralita'  a tale fase di giudizio, e, soprattutto, di rendere il
  giudizio  abbreviato  perno  del nuovo processo, costruendolo quale
  modo ordinario di definizione del giudizio.
    Pare a questo giudice che la nuova disciplina del rito abbreviato
  possa   contrastare   con   la   disposizione  dell'art. 111  della
  Costituzione,  per  i  motivi  indicati  dal  p.m.  Ma soprattutto,
  poiche'  sembra  che  i  nuovi articoli 438 e 441 c.p.p. delineino,
  piuttosto,  una  nuova  figura  di "giudice" che, ineluttabilmente,
  rimanda  a  quella del giudice istruttore (inequivocabile il tenore
  della  modifica dell'art. 422 c.p.p. e, soprattutto, del nuovissimo
  art. 421-bis  c.p.p.):  un  giudice  (al  quale  viene  imposto  di
  definire  il  processo:  "sulla  richiesta  il giudice provvede con
  ordinanza  con  la quale dispone il giudizio abbreviato", art. 438,
  comma  4  c.p.p.)  che,  laddove non ritenga di poter decidere allo
  stato  degli atti, "assume, anche d'ufficio, gli elementi necessari
  ai  fini  della  decisione" (art. 441, comma 5 c.p.p.: elementi, si
  badi, quindi qualunque mezzo di prova), e che mal si concilia con i
  principi  di cui al nuovo art. 111 della Costituzione che prescrive
  un  processo  penale  "regolato  dal  principio del contraddittorio
  nella formazione della prova".
    Con in piu', rispetto al "vecchio" giudice istruttore, che questo
  nuovo  giudice,  oltre a disporre e assumere prove, emette sentenza
  sulla  responsabilita'  dell'imputato: non e' chi non veda come sia
  di difficile previsione la sorte di tale rito.
    Certo, potrebbe leggersi l'attivita' integrativa di ufficio quale
  disposizione  parallela all'art. 507 c.p.p. (ancorche' pare esservi
  differenza  tra  la  carenza  probatoria  di  cui all'art. 441 e la
  situazione  di  assoluta necessita' di cui all'art. 507 c.p.p.), ma
  allora  la norma dovrebbe prevedere la possibilita' di ripensamento
  dell'imputato,  soprattutto  perche'  "resta  salva  in  tale  caso
  l'applicabilita'  dell'art. 423"  (sulla  cui  ampiezza  e' inutile
  dilungarsi):  in definitiva, se all'imputato che chiede il giudizio
  abbreviato  vengono  "cambiate  le  carte in tavola" - a seguito di
  assunzione   di   prove   ex   officio   e,  persino,  di  modifica
  dell'imputazione, deve essere consentito il diritto alla difesa.
    Tutte  le questioni sembrano da valutarsi congiuntamente, poiche'
  pare  che le norme in discussione fondino su presupposti e principi
  assolutamente   difformi:  l'illegittimita'  dell'art. 438  c.p.p.,
  prospettata   dal   p.m.,   per   violazione   dell'art. 101  della
  Costituzione  (per  l'impossibilita'  del  giudice di esprimersi in
  ordine   all'ammissibilita'  del  rito;  in  termini  analoghi,  la
  questione  della  soggezione  del  giudice  alla  legge e' problema
  affrontato dalla Corte di legittimita' della sentenza n. 313/1990),
  potrebbe ritenersi superata proprio dalla possibilita' garantita al
  giudice  di  assumere  prove  anche  d'ufficio, laddove non ritenga
  sufficienti gli atti a disposizione.
    Ma,  allora,  e'  proprio  tale  potere  che - per i motivi sopra
  indicati - deve sottostare al giudizio di legittimita'.